L’antica arte della bandiera

La rievocazione delle tradizioni manfrede a Faenza

La bandiera ha una storia molto antica. Ne abbiamo traccia di oggetto usato come segno militare da assiri e babilonesi e anche da Alessandro Magno, il cui esercito aveva come insegna un drappo purpureo (IV secolo a.C.). Con l’avvento della civiltà romana compaiono vessilli identificativi dei vari reparti, affiancati alle insegne (raffigurazioni di animali o oggetti sacri). Questi vessilli erano costituiti da un quadrato di stoffa rosso attaccato in cima a un’asta per mezzo di una sbarra trasversale sotto la punta che oggi chiameremmo stendardi o gonfaloni. Strisce di panno o drappi colorati, issati su aste e dette “bande”, a imitazione dei vessilli romani, compaiono col tempo anche presso gli eserciti barbari, in particolare dei Longobardi, da cui l’uso della bandiera diventa consuetudine anche della società civile come mezzo di informazione e identificazione delle autorità e delle famiglie nobili.

La bandiera nella storia

Largamente usate in ambito militare, come mezzo di segnalazione, le bandiere diventano fondamentali in ambito civile per rappresentare le famiglie nobili e le corporazioni di arti e mestieri, oltre alle autorità civili. Le relazioni con i territori non cristiani, dovute alle crociate, influenzano in qualche modo lo sviluppo della scienza araldica andando ad aumentare il significato simbolico della bandiera, che diventa anche rappresentazione della coscienza cittadina. In questo senso, nel corteo del Niballo moderno troviamo “la bandiera” di Faenza, cioè il gonfalone, che sfila nel Gruppo Municipale, ma anche una moltitudine di insegne e gonfaloni, dalla corporazione dei fornai, alle famiglie nobili dei vari rioni, passando per le insegne delle rocche attorno a Faenza.

Con l’aumento dell’importanza della bandiera, accrescono d’importanza anche coloro che la portano, cioè gli alfieri (dall’arabo al-faris, cavaliere o soldato a cavallo), e alla forza e al coraggio che devono mostrare in battaglia si associa l’eleganza e la destrezza nello sbandierare durante i tornei o altre occasioni importanti come le investiture dei cavalieri. Un interessante evento accade a Faenza nel 1080, quando il conte di Vitry (ancora oggi ricordato nell’omonima via) accorre in soccorso dei faentini che stavano combattendo i ravennati, riuscendo a metterli in fuga. Come ringraziamento, il conte chiese che ogni primo di maggio i suoi due stendardi fossero portati nella chiesa di San Sigismondo e da allora, fino al 1796, due giovani nobili portavano gli stendardi del conte facendoli volteggiare per le vie cittadine. Alla fine degli anni Novanta del XX secolo, per alcuni anni, il Rione Giallo ha riproposto questa antica consuetudine.

Tra folclore e decorazione

Con la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età Moderna, in particolare tra Seicento e Settecento, la bandiera acquisisce un’importanza sempre più folcloristica e decorativa, specie nei periodi di pace. Anche nelle rappresentazioni artistiche, gli alfieri iniziano a perdere il rigido atteggiamento militare a favore di pose eleganti e vagamente circensi. A fianco delle giostre equestri nascono i tornei di picca e di bandiera dove l’alfiere, che in questo periodo è spesso un giovane nobile, mette in mostra abilità e destrezza e il legame con l’ambiente militare è sempre più lieve. Lo sbandieratore diventa anche saltimbanco, quando muove i vessilli di papi, città ed eserciti in occasione delle feste di popolo, avvicinandosi al moderno giocoliere e allo sbandieratore di oggi.

Nel 1674 nasce a Faenza l’Accademia dei Remoti a opera del Conte Michele Spada. Uno degli impieghi degli accademici era “giocare di scherma e di bandiera”, segno che lo sbandierare era ormai percepito come un gioco, dove la violenza del campo di battaglia veniva rappresentata nelle movenze, ma nella realtà era assente. Lo sbandierare era diventato un passatempo e gli sbandieratori erano appassionati che si dividevano tra la scherma e la bandiera. Questa tendenza è confermata anche dal nascere di veri e propri manuali dell’arte della bandiera: uno di questi esempi è il bellissimo New Kunstlich Fahnenbuchlein di Johann Renner e Sebastian Heubler stampato per la prima volta a Norimberga nel 1615. In questo libro troviamo immagini e spiegazioni su come eseguire esercizi con la bandiera e il volume è molto simile a La Bandiera uscito nel 1638 a firma di Francesco Ferdinando Alfieri, maestro d’arme dell’Illustrissima Accademia Delia in Padova.

Il gioco della bandiera

Col passare dei decenni il gioco della bandiera perse man mano importanza, rimanendo relegato in qualche palio o occasione particolare. Con l’arrivo del XX secolo e la nascita di un profondo interesse per il periodo medioevale, lo sbandieratore e il gioco della bandiera tornarono in auge insieme alle prime rievocazioni storiche. Gruppi di sbandieratori iniziarono a nascere un po’ ovunque, rinnovando antiche tradizioni e distinguendosi con movenze e modi di maneggiare le bandiere diverse da città a città. Con il boom economico del secondo dopoguerra e la nascita del turismo di massa, lo sbandieratore viene impegnato non solo nelle rievocazioni storiche, ma anche in esibizioni spettacolari e coreografiche slegate da un contesto puramente storico e che spesso hanno portato gli sbandieratori italiani in giro per tutto il mondo. È così, per esempio, che il Gruppo Alfieri Bandieranti e Musici di Faenza nel giro di trent’anni finisce per visitare molti Paesi europei, presenziando addirittura al Parlamento Europeo in occasione della vittoria del Premio Europa da parte di Faenza. Un’anima spettacolare e un fascino che il gioco della bandiera mantiene a discapito del tempo che passa, ma che negli ultimi anni è affiancata da un’anima agonistica sempre più forte. In molti gruppi italiani, tra cui quelli faentini, ci si è allontanati dalla sbandierata tradizionale e dalle bandiere con aste in legno e tele dipinte a mano, per avvicinarsi a una sbandierata agonistica, con gare, giudici e regolamenti, bandiere in fibra di carbonio e costumi sempre più semplificati.

Il gioco della bandiera oggi si ritrova quindi con due anime ben distinte e talvolta in competizione. Sarà interessante vedere nei prossimi anni come evolverà, ma di una cosa abbiamo la certezza: il fascino delle bandiere rimarrà immutato.

A Faenza, secondo la tradizione, nella sera del terzo sabato di giugno si svolge il “Torneo degli Alfieri bandieranti e Musici” nella specialità del “Singolo”, della “Piccola Squadra” e della “Grande Squadra e Musici”. Policromi vessili con le insegne dei Rioni volteggiano con straordinario sincronismo nel cielo notturno, accompagnati dal rullo possente dei tamburi e dal suono antico delle chiarine, nell’affascinante scenario dei palazzi e dei loggiati della Piazza del Popolo illuminati a giorno e contornati da figuranti in armi

La sera successiva, domenica, che precede quella in cui si disputa il Palio del Niballo, i Cavalieri che correranno il Palio prestano giuramento nella Piazza del Popolo, innanzi al Podestà della Giostra, al Maestro di Campo ed all’intera città, di rispettare le regole della Cavalleria e di combattere lealmente per i colori del proprio Rione. Dopo questa solenne cerimonia si svolge la più tradizionale tra le gare del torneo, quella tra gli Alfieri bandieranti dei cinque Rioni della classica specialità della “Coppia”, che assegna al Rione vincitore la grande botte di vino con cui si festeggerà fino a notte inoltrata. Per la loro riconosciuta abilità gli sbandieratori dei cinque Rioni faentini si sono affermati più volte campioni in competizioni nazionali ed internazionali conquistando anche il titolo di Campioni del Mondo nelle gare di singolo e coppia e meritando onorevolissimi piazzamenti in altre specialità, ponendo così la Scuola di Faenza all’apice nazionale.

 

Informazioni e ringraziamenti

In collaborazione con:
Comune di Faenza Servizio Cultura – Ufficio Palio

Credits: Fotografie di Andrea Gonelli, Luca Leoni